Tanto per cominciare cerchiamo di capire cosa sia un condominio minimo. Se ti dicessi che una villetta bifamiliare può anche essere un condominio, chiameresti la neuro per farmi ricoverare o continueresti a darmi retta? Se vuoi un consiglio scegli la seconda opzione perché ci troviamo di fronte al classico caso in cui l’idea che abbiamo di una cosa in realtà non abbraccia tutte le sue possibili sfaccettature. A meno che non sia un addetto ai lavori, infatti, credo tu conosca solo l’accezione più comune di “condominio”, quella che prevede la presenza di un amministratore e di un’assemblea. Esiste, però, anche il cosiddetto “condominio minimo”, che identifica tutti gli edifici fino a otto condòmini.
Come già successo nel post “Sostituzione vasca e detrazione 50%: il Fisco risponde”, anche questa situazione è stata da noi presa in esame in uno dei case history presenti nel nostro e-book “Le detrazioni fiscali sulla casa 2016”. Ti rimando dunque alla sua lettura per ogni approfondimento, mentre qui mi limiterò a fare un breve riassunto del concetto normativo di condominio minimo.
Per far sì che si configuri un condominio basta la presenza di due soli proprietari che siano titolari di porzioni esclusive dell’edificio (per esempio i loro appartamenti) e contitolari di parti di uso comune (per esempio l’androne o il locale caldaia). Non serve neppure alcun un atto formale per ufficializzare tale situazione, così come chiarito dall’Agenzia delle Entrate nella Circolare 11/E del 21 maggio 2014 e nella Risoluzione 45/E del 14 febbraio 2008 . Per cui anche la semplice villetta bifamiliare, se in comproprietà non indistinta, rientra in questa circostanza.
Le norme civilistiche applicabili saranno, dunque, quelle relative ai condomini, ad esclusione degli articoli 1129 e 1138 che riguardano, rispettivamente:
Non si potrà perciò adottare le più semplice disciplina della cosiddetta “proprietà in comunione”, esclusa espressamente dalla Riforma del Condominio, con l’aggiunta dell’art. 1117-bis al Codice Civile. Ne consegue che a tutte le forme condominiali siano comuni pure i due principali adempimenti fiscali:
La Circolare 3/e ha apportato delle semplificazioni che, indirettamente, vanno a toccare proprio questi due ambiti.
Fatto salvo che anche per un condominio minimo valgano le norme civilistiche appena descritte, nella Circolare 11/E del 21 maggio 2014 l’Agenzia sostenne che:
Per cui, ai fini dell’ottenimento della detrazione 50% e/o dell’Ecobonus, i documenti giustificativi (fatture e bonifici) delle spese relative alle parti comuni dovevano essere intestati al condominio e i bonifici dovevano riportare il codice fiscale del condòmino che aveva provveduto al pagamento, nonché quello del condominio stesso. Questo obbligava anche i proprietari a richiedere il codice fiscale prima di intraprendere gli interventi detraibili, mentre restava facoltativa la decisione di aprire un conto corrente intestato al condominio minimo. Di fatto il pagamento poteva partire anche dal conto corrente di uno dei condòmini, il cui codice fiscale avrebbe dovuto essere indicato nelle dichiarazioni dei redditi di tutti i beneficiari delle detrazioni.
Altra complicazione per i poveri beneficiari era stabilire la giusta ripartizione delle spese: Il Fisco, sempre rifacendosi all’analogia fiscale fra condomini minimi e standard, stabilì che le quote spettanti ai vari soggetti dovessero essere calcolate:
Anche a seguito della pubblicazione della Circolare 11/E non era raro che, per pagare le spese riguardanti le parti comuni dei condomini minimi, i contribuenti continuassero ad utilizzare i metodi previsti per i singoli alloggi. Ci si accorgeva dell’errore (o meglio, se ne accorgevano CAF e commercialisti) solo al momento della presentazione delle dichiarazioni dei redditi ed il dubbio era:
Perderò le detrazioni o è possibile aggiustare la situazione in qualche modo?
A risolvere l’arcano arrivò il 27 agosto 2015 la Risoluzione 74/E, che istituì una procedura per sanare queste situazioni, che consisteva nei seguenti passi:
In fase di dichiarazione dei redditi, nei righi dedicati alle detrazioni 50% e 65%, ognuno dei beneficiari nel proprio modello avrebbe dovuto poi:
Insomma, la soluzione non era certo rapida e indolore (per il portafoglio del contribuente intendo). E, inoltre, c’era un piccolo problema: essa era applicabile alle sole spese effettuate nel 2014 e non vi era alcun riferimento a quelle sostenute negli anni precedenti. La domanda sorge spontanea:
Quale rimedio adottare per le spese pregresse?
Fino alla data di pubblicazione della Circolare 11/E è ovvio che nessun condominio minimo (o quasi) avesse intrapreso la trafila burocratica in essa indicata dal Fisco, ma avesse seguito le vie comunemente adottate:
In questi casi l’accesso ai bonus fiscali non sarebbe stato comunque compromesso, per due motivi:
Per fortuna la semplificazione non ha tardato ad arrivare.
Con la Circolare 3/E, datata 2 marzo 2016, il Fisco aggiusta ulteriormente il tiro a favore dei condomini minimi. Nel documento si afferma che, nel caso in cui i pagamenti riferiti alle spese sulle parti comuni dell’edificio vengano pagate dai singoli condòmini (o anche da uno solo di essi delegato come rappresentante) usando il loro codice fiscale, la detrazione è ritenuta comunque concedibile. La soluzione del codice fiscale condominiale continua ovviamente a rimanere attiva (e privilegiata).
L’Agenzia motiva questo cambio di rotta riprendendo un concetto già evidenziato nella Risoluzione 74/E: l’art. 25 del DL. n. 78 del 2010 impone che banche e poste operino, a monte del versamento sul conto del beneficiario, una ritenuta a titolo di acconto dell’imposta sul reddito (attualmente pari all’8%) sui bonifici riferiti alle detrazioni per ristrutturazione e risparmio energetico. Un’ulteriore ritenuta d’acconto la dovrebbe applicare il condominio, che opera in qualità di sostituto d’imposta. Ma, poiché essa graverebbe in modo eccessivo sui fornitori di beni e servizi detraibili L’Agenzia, con la Circolare 40/E del 28 luglio 2010, sui bonifici “parlanti” ha acconsentito all’applicazione della sola ritenuta prevista dal DL. n. 78.
Questa deroga fa sì che le entrate erariali non varino qualora i bonifici vengano effettuati dai singoli condòmini invece che dal condominio minimo. Nella prima circostanza resta però dovere dei beneficiari dei bonus fiscali produrre in sede di controllo «un’autocertificazione che attesti la natura dei lavori effettuati e indichi i dati catastali delle unità immobiliari facenti parte del condominio».
Notizia ancora più felice è che questa disposizione annulla quelle contenute nei due precedenti documenti che ho descritto, per buona pace di tutti coloro che avevano commesso qualche errore e si erano scordati di correggerlo.
Come credo sia apparso chiaro a chiunque abbia letto il mio post “Bonus mobili se si cambia la caldaia. Siamo sicuri?” non mi trovo quasi mai sulla stessa linea di pensiero del Fisco. Ma questa volta, sarà che col tempo sto diventando più buono, sarà che (spero) lo stia diventando il Fisco, non posso che trovarmi d’accordo sulla soluzione che esso ha prospettato. Come si suol dire “minimo sforzo e massima resa” e, soprattutto, nessuna spesa aggiuntiva per le tasche dei contribuenti. Morale della favola: io farei un applauso all’Agenzia delle Entrate!
E tu che ne pensi, si poteva trovare una via ancora più semplice? Ovviamente, se hai altri dubbi su quanto hai appena letto o vuoi avere maggiori informazioni, ti invito a lasciarmi tutte le tue domande nello spazio dei commenti che trovi più in basso. Meglio ancora: se hai un argomento o un caso personale riguardante una ristrutturazione che vorresti che io approfondissi, descrivilo pure nei commenti e farò il possibile per trattarlo in uno dei prossimi articoli. Per il momento ti saluto: ciao e buona ristrutturazione!
Photo credit: Bill Dimmick via Visualhunt / CC BY-ND
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